(Adria 1883-1968)

I ricordi della primissima infanzia marcati a fuoco nella mia memoria, visivi, chiari e precisi, sono quelli legati alla figura della nonna paterna. Ho vissuto con lei, i miei genitori e mio fratello, dalla mia nascita alla sua morte che avvenne l’estate precedente al mio esordio scolastico. Nonostante io avessi solo cinque anni lottai a lungo per accompagnarla al suo funerale: non me lo concessero e da allora, iniziai a strapparmi i capelli, quel gesto compulsivo che ora chiamano tricotillomania.

La nonna per me era sempre stata vecchia: piccola, gobba, magra, bianca in testa e con la pelle scura, ma con due occhietti vispi e un’espressione dolce, un’immensa fantasia e ironia da vendere. Teneva sempre un plaid a quadri sulle spalle e non usciva mai di casa. Ha perso anche la testa a un certo punto e chiamava ogni oggetto con la parola “fiore”. Però non ha mai smesso di proteggermi e non ha perso, mai, il suo sguardo vivace e il suo sorriso sornione.

Nel tempo ho cercato di ricostruire la sua vita dai racconti familiari e attraverso scritti e lettere che ho reperito.

La famiglia Lucchiari a fine ‘800, veniva additata come una famiglia anticonformista, di certo non all’avanguardia. Nonna Giustina, a vent’anni, circa nei primi ‘900, nonostante fosse donna, era laureata atea socialista e femminista. Studiò lettere a Firenze, poi finì in Francia ad insegnare in un collegio femminile, ed infine a Milano per seguire il suo amore, mio nonno Giambattista Scarpari che si stava laureando al Politecnico. Dicono che, a Milano, lei tenesse comizi politici in piedi su tavoli in luoghi poco raccomandabili e molto affollati. Quando tornò ad Adria, aprì un corso di studi per dare formazione e cultura a donne che non potevano permetterselo e si adoperò per servire pasti caldi in una mensa per poveri.

La famiglia Scarpari, discendente dalla nobiltà asburgica, la considerava una donna troppo emancipata, stramba ed esuberante e non la vedeva affatto di buon occhio, tanto che il fidanzamento tra lei e mio nonno durò ben diciassette anni, in parte contrastato dai parenti e in parte per le poche certezze finanziarie che i due, contando solo su loro stessi, potevano assicurarsi. Quando i miei nonni infine si sposarono, lei aveva quaranta anni e lui un anno di meno. Mio padre, unico figlio, nacque un paio di anni dopo ed anche questo: essere primipara a quarantadue anni di età nei primi ‘900, non fu certo cosa comune.

Non smise mai di tenersi aggiornata rispetto al mondo e di partecipare ad esso, né smise di ampliare la sua conoscenza e la sua cultura. Durante la sua vita tenne un’assidua corrispondenza con Jessie White Mario, reporter anglo-italiana, documentarista del Risorgimento (moglie di Alberto Mario, nativo di questi luoghi): ho ancora queste lettere, assieme ad altre, scambiate con lo scrittore Gabriele D’Annunzio che conobbe, credo, nel suo periodo francese: ho trovato libri dello scrittore autografati. Mantenne legami e amicizie con personaggi importanti, tra gli ultimi il maestro di musica veneziano Ferrante Mecenati e la moglie Rosita Lusardi, figlia di un agente teatrale di fama mondiale. La coppia aveva acquistato e ristrutturato una villa ad Adria per farla divenire, oltre ad abitazione, fulcro del mondo della politica, dello spettacolo e della cultura del nord Italia, villa che poi lasciarono in eredità alla città, affinché Adria avesse un Conservatorio Statale di Musica.

Ancora adesso, nella mia famiglia si usa dire in dialetto: “T’j’é nà Lucèri!” (“Sei una Lucchiari!”) per indicare un carattere ribelle, vivace, battagliero e indipendente. Eppure… quello che io ricordo di mia nonna Giustina, la Lucèri per eccellenza, quel poco che io chiaramente ricordo con gli occhi e il cuore di una bambina, è solo un’infinita e profonda dolcezza.

Monica Scarpari