Vincenzo è nato da un amore illecito in un giorno di aprile del 1899, a Bronte, in provincia di Catania. La sua storia in parte è raccontata da mio padre, in un diario personale, in parte per via orale. Dopo circa due giorni di vita, Vincenzo è stato consegnato all’ufficiale del comune di Bronte da una donna, la quale dichiarò di averlo avuto in consegna da qualcuno che bussando alla porta lo pose sulle scale dell’uscio di casa e scappò per non essere riconosciuto. Nell’estratto dell’atto di nascita è riportato lo stato in cui il bimbo è stato trovato, le vesti che portava, il pannolino, ecc. L’ufficiale del comune infine dichiara di aver posto il nome di Vincenzo e cognome di Torregrossa, in modo assolutamente casuale. Solo molti anni dopo, Vincenzo è riuscito a scoprire l’identità dei suoi veri genitori. Il padre, ricco proprietario terriero, e la madre, la donna di servizio della ricca famiglia. A seguito della loro relazione clandestina sono nati sette figli, nessuno riconosciuto.

L’avventurosa e tormentata vita di Vincenzo inizia con una adozione “forzata”. La famiglia catanese che lo adottò aveva già molti figli, tuttavia, grazie agli incentivi economici dello stato per chi adottava un bambino abbandonato, la famiglia prese in carico anche Vincenzo. La sua infanzia è stata difficile, tormentata, in una famiglia che non lo amava e che già all’età di quattro anni lo mandò a lavorare presso una bottega di falegname. Vincenzo era solo un bambino, ma portava sulle sue spalle quattro sedie per volta, dalla bottega al laboratorio, e così passava le giornate e quel poco che guadagnava lo portava alla famiglia. Mangiava poco, viveva molto per strada e non capiva perché tra tutti i fratelli lui era quello che pagava per tutti, che veniva picchiato più spesso anche per piccole marachelle. Insomma, un inferno. Vincenzo non si è mai dato per vinto e quindi cercò di capire. Scoprì così che quella non era la sua vera famiglia, che era stato abbandonato e questo lo spinse ad andare alla ricerca dei suoi veri genitori. Appreso che questi si trovavano a Bronte, si avventurò sulla strada ferrata che da Catania porta ai paesini alla pendici dell’Etna. Pensò che questo potesse essere un buon sistema per raggiungere Bronte e non perdersi per strada. Così, ad appena cinque anni scappò di casa, stanco di quella vita, e si avventurò a piedi seguendo la ferrovia. Nella notte però, infreddolito e stanco, si rannicchiò tra i cespugli. Due carabinieri, inteso uno strano rumore, intimarono il “chi va là”. Vincenzo aveva paura e stette zitto. Ma presto i due gendarmi si resero conto che lì, tra i cespugli, nella notte fredda, si nascondeva un bambino. Lo presero, lo scaldarono con un bicchiere di vino e gli chiesero perché si trovava lì e perché fosse scappato. Vincenzo raccontò tutto e i carabinieri lo riportarono a casa. Tutti dormivano e dopo aver suonato alla porta insistentemente aprì la madre imprecando contro Vincenzo. Ma i carabinieri si insospettirono. Nessuno aveva denunciato la scomparsa del bambino e tutta la famiglia dormiva saporitamente. A seguito di questo episodio, le forze dell’ordine ammonirono la famiglia dichiarando che se si fosse ripetuto un fatto simile il bambino sarebbe ritornato in orfanotrofio. Così la madre il giorno dopo lo trattò benissimo, e mio nonno ricordava quel giorno come tra i più belli della sua vita. Per la prima volta mangiò a colazione latte e biscotti. Ma durò poco. Infatti la sua vita tormentata e affannata riprese presto con il solito ritmo sfiancante. Mio padre nel suo diario riporta tantissimi episodi vissuti da Vincenzo, spesso drammatici e tristi. Ma Vincenzo non si è mai dato per vinto. A neanche 18 anni partì per la prima guerra mondiale, insieme al fratello Francesco, ma se Vincenzo è riuscito a cavarsela il fratellastro Francesco ci rimise la vita a pochi giorni dalla fine della guerra. Ancora una volta la famiglia adottiva imprecò contro il povero Vincenzo. Lui, figlio adottivo ritornò a casa e Francesco, figlio di sangue, morì.

Vincenzo aveva un grande desiderio, trovare i suoi veri genitori, iniziare a lavorare, sposarsi e andare via da quella famiglia. Era molto bello, non molto alto ma asciutto, sguardo penetrante, capelli scuri, occhi celesti come il mare. Aveva tante ammiratrici, ma Rosa, mia nonna, catturò il suo cuore. Presto riuscì a trovare lavoro presso il Porto di Catania come stivatore. Era forte e robusto ma non aveva studiato, suo malgrado. Il desiderio però di trovare la sua vera famiglia non lo abbandonò. Così anche con l’appoggio di Rosa, perseguì la sua ricerca e ritornò a Bronte. Trovò la famiglia e bussò alla porta. Chi aprì fu la governante che era poi la sua vera madre. Lei si accorse subito che poteva trattarsi di uno dei sette figli non riconosciuti. Lo sguardo e la somiglianza col padre sciolsero qualsiasi dubbio. Terrorizzata urlò e chiamo il padre. Vincenzo pacatamente disse loro che voleva solo vederli in faccia e capire il perché di quell’abbandono e di quanto dolore tutto ciò gli avesse procurato. Detto ciò, tra i volti impietriti dei veri genitori, andò via e non li rivide mai più. Vincenzo sposò Rosa, studiò da adulto e prese la licenza media perché il suo più grande desiderio era quello di studiare. Ebbe quattro figli di cui il primo fu mio padre Stefano. A neanche ottant’anni diventò bisnonno. Ci ha lasciato nel 1998 alla veneranda età di 99 anni.

Ma lasciato non è forse il termine corretto. Vincenzo è con noi.

Adriana Torregrossa, 1 agosto 2021

(Ricordi tratti dal diario di Stefano Torregrossa e dai racconti orali)