SELF MADE

Nell’aria fredda dell’inverno stava per minuti interi a guardarli, dietro le sbarrette, troppo grandi per quel piccolo spazio.

Non erano di quelli da mettere in gabbia, gli avevano detto che sarebbero morti subito, ma non era ancora così invece, erano duri, resistevano, si trattava di uccelli da preda, non di uccelletti.

Erano il suo hobby, li aveva portati a casa dalle sue parti, nel sud, una volta quando era tornato dopo le feste, era ogni anno al paese almeno una o due volte, appena arrivava la possibilità di farlo.

Quegli animali gli riempivano il tempo.

Si può dire che questo era un problema che sentiva molto, sia pure ad un livello viscerale, non chiaro nella testa.

Cosa fare quando non era in attività, a questo si era trovato più volte di fronte.

Dormire: col sonno aveva uno strano rapporto, dormiva come un sasso al pomeriggio dopo avere mangiato e la sera, appena messosi a letto. Ma poi si svegliava alle tre o alle quattro di notte e rimaneva a girare per la casa per mezze ore, alla fine passava decine di minuti a sforzarsi sulla tazza del bagno e finalmente arrivava la fatica che lo metteva in grado di fare l’ultimo sonno prima di svegliarsi all’alba, mentre nel sonno pensava agli anni passati, che fatica venirne fuori, come era riuscito alla fine ad uscirne, ne aveva dovuta mangiare ed aveva dovuto sgomitare in abbondanza.

Ne aveva provati decine di modi per guadagnarsi da vivere, meno precari col tempo che passava.

Aveva sempre avuto poche opportunità per fermarsi, quando si metteva a pensare era perché, al contrario, aveva di fronte una abbondante pausa che non riusciva a riempire con qualche movimento, o quando, come ora, si incantava a guardare i suoi uccelli.

Ed allora pensava che non capiva la vita dei figli, non avevano idee in testa, si diceva, passavano quelle loro giornate comode, con normalità, come se fossero le uniche possibili, tranquilli e sicuri, come se la sarebbero cavata quando lui se ne sarebbe andato.

Anche lui era responsabile se erano così, in fondo poi stavano bene, come tutti gli altri che avevano attorno.

Pensava al suo ufficio, venivano in gran parte dal suo paese, c’era un figlio della sorella, un nipote, la figlia di un amico di decenni.

E sapeva che non gli volevano bene, che i suoi modi irritavano tutti, che spaventavano le sue urla, che faceva ridere la sua incompetenza, che indisponeva il suo disordinato attivismo.

E capiva di essere sempre meno in forze, sentiva i capelli grigi e la pancia sempre più abbondante, anche da quando aveva iniziato a fare footing, da quando aveva cominciato a correre ogni settimana chilometri con la bicicletta da corsa che gli era stata regalata.

Era così magro quando si era sposato, non da molti anni aveva cominciato a mangiare con regolarità, come era diverso l’amore per la moglie allora.

Self made Dario Nissadelli – parente in law con cui non ero in confidenza ma di cui apprezzavo l’energia, per quanto ne percepissi la primitiva non eticità nei mezzi per raggiungere gli scopi – lo ho colto qui sopra tra i cinquanta ed i sessant’anni, quando la forza cominciava a cadere. Ma avrebbe avuto poi altri dieci anni di grande attività, fondatore di una cooperativa di autotrasportatori, presidente di una cassa rurale, era solo da qualche anno alle spalle la partecipazione alle elezioni politiche dentro il maggiore partito di governo, con uno scontro perso, ma non male, contro il tradizionale candidato locale dello stesso partito, uno squallido politicamente spietato.

Sarebbe poi morto a circa ottant’anni, la moglie vicina, i tre figli che gli volevano bene ma erano con una testa diversa, lontani, da anni non vedeva più nessuna delle persone che nella vita aveva sistemato nei più vari modi, con i più diversi mezzi, per svariati suoi fini, guardava la televisione, sempre più immobile, in poltrona.

La mia sorpresa, mio papà – una testa ed una vita opposta, cinque anni di più ma la salute è stata sua fino alla fine – gli è stato vicino negli ultimi anni.

Avrei potuto scrivere con più particolari e più duramente – forse avreste trovato la mia scrittura migliore – ma per quale motivo farlo, così il ricordo va bene.

Paolo Pizzo